martedì 8 ottobre 2013

Willkommen Italiener!









La parola Ciliegia, nel mio dialetto, è molto simile a come si pronuncia in Romania.
Se un Tedesco confidasse ad un Napoletano che se la sta spassando, è molto probabile che quest’ultimo lo capisca.
I piatti più importanti del mio paese non esisterebbero senza un frutto che arrivò dalle Americhe.
I Greci vennero sulle nostre coste e costruirono villaggi che chiamarono con lo stesso nome delle loro antiche città, I Normanni vennero a costruire castelli, i Bizantini ad insegnarci come fare l’olio e il vino.
La religione che molti seguono ha le sue origini in medio-oriente, le telenovelas le fanno in Sud America, le nostre decisioni le prendono gli Statunitensi.
Chissà quanti popoli e quante storie ha ognuno di noi nel sangue.
Abbiamo praticamente inventato la pittura, la musica, la letteratura, la guerra, la radio, il telefono, la socialità, la prepotenza e le abbiamo portate altrove in centinaia di modi diversi, con migliaia di facce diverse.
Accolti, respinti, accettati, uccisi, sfruttati, adorati e riveriti.
Che cos’è una Nazione? E’ ciò che ci hanno insegnato a chiamare tale.
Un pezzo di terra che abbiamo imparato ad amare perché è ciò che è: una spugna del tempo, pregna più di molteplicità che di quanti punti ci siano realmente in comune in un popolo che mai senza fatica in tale modo si è potuto definire.
La penisola centrale del mediterraneo, la terrazza luminosa da cui è passato tutto il mondo: si è seduto a tavola e dopo pranzo si è alzato soddisfatto, ha bevuto un caffè (coltivato in brasile) e se n’è andato via, per poi ritornare sempre.
All’estero, se è vero che ci odiano, ci odiano come si odia un maestro che ti ha insegnato le sue arti più preziose e dopo le ha trascurate e dimenticate, per poi rinchiudersi in un eremo di diffidenza e di presunzione non più giustificata.
All'estero, se è vero che ci amano, ci amano come ad una donna che non sa di essere bella e che nella sua insicurezza continua a rinchiudersi in casa, per deperire in solitudine, su fornelli troppo puliti.
Ed è per questo che sono convinto che ci vogliano degli italiani nuovi, con le facce delle più svariate tonalità, con le loro mille lingue, i loro pregi ed i loro difetti, per insegnare nuovamente agli italiani che sono già qui, e chissà realmente da quanto tempo, che l’Italia è cresciuta solo quando ha saputo ascoltare ed imparare, solo quando ha voluto arricchirsi di esperienze venute da altrove.
Benvenuto chiunque tu sia, triste mio nuovo connazionale trascinato qui con forza, dal mare.


Welcome whoever you are, my grieved new fellow countryman dragged forcefully here, by the sea.
 





3 commenti:

Anonimo ha detto...

Qualche giorno fa mi è capitato tra le mani il disegno di una ragazza dai capelli scuri..l'espressione imbronciata, forse anche indispettita..con gli occhioni grandi, proprio da fumetto, anche se si avvicinano molto alla realtà..mi ha messo un po' di malinconia...chissà se ricordi ancora?
Ad ogni modo sono felice di sapere che fai ancora quel che ti è sempre piaciuto, disegnare. Da quel che leggo mi sembra di capire che non sei più in Italia..spero che ovunque tu sia le cose vadano meglio rispetto al nostro belpaese..che tutto sia apposto e che il futuro ti sorrida, come dovrebbe essere.
Un abbraccio

cooksappe ha detto...

ciliegia :o

Giuseppe Minervini ha detto...

Anonimo, se così posso chiamarti, ricordo perfettamente la ragazza dai capelli scuri.
Potrei dire che faccio quello che mi è sempre piaciuto, ma è anche perché non amo fare le cose che non mi piacciono, ma sapessi quante cose sono cambiate sotto il medesimo titolo della questione, quanto si è evoluto l’approccio e quante strade dissestate ho rifatto al contrario…
Vivo tra l’Italia e l’estero, ma non per disprezzo o ammirazione di un paese o un altro, solo perché ho la fortuna di non avere un futuro definito: il mio futuro può sorridermi o denigrarmi, l’importante che me lo faccia davanti.
Detto questo, auguro anche a te ogni bene, un abbraccio.